lunedì 21 giugno 2010

"O bellissima Morea" la storia di una canzone di 600 anni fa che evoca l'origine delle etnie albanese in Italia

Di Lirio.V.Nushi, tradotto da Donika Jahaj 
                                      Presto a Corriere della Sera



O e bukura More
Questa canzone arbёresh che in italiano vuole dire “O Bellissima More “ è una canzone che risale a 600 anni fa e parla di una storia triste , storia di un esilio di rifugiati di Arbёria (Albania di oggi) verso le terre italiane. Questa è una canzone molto popolare che viene cantata da tutti, sia nel Sud Italia ( zone popolate dagli arbёresh), sia dagli albanesi che vivono in Grecia che li chiamano Arvanit e da tutti gli albanesi ovunque siano.
O Bellissima More
Ma chi e More? Un amore lasciato lontano, una bella donna e un interiezione usato tanto nei versi Omerici per esprimere meglio i sentimenti dei cantatori popolari; si More si identifica in tutti e tre . Morea è il nome di Poleponneso dei giorni moderni , che fu cambiato dai greci. Per questo “O Bellissima More” racconta la nostalgia , il dolore e il ricordo della patria persa per sempre; More è il luogo da cui venivano la maggior parte degli arbёresh che oggi si trovano in Italia Meridionale.
La prima testimonianza scritta di questa canzone la troviamo nel manoscritto di Chièuti pubblicato nel 1708; dopo di che questo materiale venne pubblicato nel 1866 dal filologo arbёresh Demetrio Camarda (1821-1882). In questa opera il testo della canzone è scritto nel lingua albanese però usando l’alfabeto greco, che è l’unica versione del testo originale.
       O e bukura More
       Çё kur tё lje(lasçё)
       Mё nigjё tё pe
       Atje kam unё zotin-tatё
       Atje kam unё mёmёn time
       Atje kam u tim vёlla
       O e bukura More
       Çё kur tё lje(lasçё)
       Mё nigjё tё pe.
       O e bukura more
Per non perdere la rima e il significato lo abbiamo qui riportato in italiano:
       O bellissima More
       Ti lasciai
       E mai tornai
       Di la ho il mio padre
       Di la ho la mia madre
       Di la c’è mio fratello
E torna come un ritornello ,
       O bellissima More
       Ti lasciai
       E mai tornai
       O bellissima More.
Non si sa chi è che la cantò per prima questa canzone con versi semplici con una rima a tre, però rimane viva nella memoria collettiva e si canta con dolore anche oggi giorno nei cortili di casa con gli amici, nei matrimoni o come una ninna-nanna per bambini. Sicuramente sarà stato un emigrante che cantando a voce bassa, seduto a guardare il mare come se questo mare rispecchiasse la sua amata More; quasi un sussurrare al mare di riportargli questo amore oramai lontano. Un dialogo di solitudine accompagnato da un mandolino (il silenzio fa da sfondo alla melodia).
La pubblicazione di questo libro è stata fatta in Italia dalla casa editrice F. Albergueti E.C , e si intitola “Appendice al Saggio di Grammatologia Comparata Sulla Lingua Albanese”, preparato con cura dal filologo arbёresh Demetrio Camarda nel 1866 basandosi sul manoscritto di Chieuti del 1708.
In tutte le storie umane di immigrazione dei popoli c’è una canzone che diventa simbolo del dolore e del’ amore per la patria, come: “Porti un bacio a Firenze” in cui il cantatore chiede a una bella ragazza di portare un bacio alla sua amata città. I luoghi si trasformano e si identificano nella madre , padre e fratello, con la speranza che un giorno si rivedranno . Queste storie significano tanto per tutti noi e quindi la canzone “ O Bellissima More “ è rimasta viva ancora oggi; è più antica della musica albanese e si consolida un documento storico delle radice della comunità arberesh in Italia, testimonianza di un periodo storico.
Come e perché gli arbёresh hanno lasciato Morea (il nome moderno Poleponneso ) e Arbёria? E come si crearono i villaggi arbёresh nel l'Italia Meridionale? I primi arrivati in Puglia risalgano al 1460, con la caduta e l’invasione del Castello di Coroni(1453) , che si trova a More(Peloponneso di oggi). l’imperatore Carlo III ordinò al capitano Andrea Doria di prenderli i greci e arvaniti-arbёresh e portarli da More in Italia Meridionale. Qui fu l’inizio della creazione dei villaggi arbёresh e greci in Italia Meridionale . Forse in questo momento per la prima volta è stata cantata la canzone “O Bellissima More” con tristezza e luttuosa nostalgia. I primi albanesi provenienti dal' Arbёria si stabilirono in Calabria e Sicilia dopo invito del Re Alfonso V D’Aragona . Si tratta di soldati albanesi che si stabilirono definitivamente con le loro famiglie in Calabria e in Sicilia per contribuire a rafforzare le truppe militari del Re Alfonso e favorire i suoi tentativi di soffocare le rivolte contro di lui. Nel 1461 il sovrano di Arbёria , Giorgio Castriota Skaderbeg in persona combatte al fianco di Ferdinando che era Principe di Taranto e il figlio del Re Alfonso V d’Aragona. Come ringraziamento per il suo aiuto militare regalò a Skanderbeg due feudi in Puglia. Però il Re Aragona gli diede solo ospitalità , mettendo due condizioni : dargli una terra povera, senza valore e proibire la costruzione di fortezze o castelli. L' effetto era triplo: dargli un terra senza valore , significava di rimanere poveri e soli; la proibizione di costruire nessun tipo di fortezza significava di rimanere non protetti , mai potevano diventare aggressori, e non lo sono mai diventati; un altro effetto era di rafforzare le arie naturalmente difficili dai nuovi arrivati e rimanere isolati. Un po’ prima della morte di Skanderbeg (1467), e principalmente dopo la sua morte con la caduta e l’invasione della città di Kruja , che era roccaforte di Scaderbeg, da parte dei turchi, gli albanesi si allontanarono in massa in condizioni drammatiche verso l’Italia, dove si stabilirono nei villaggi già esistenti, creandone anche dei nuovi. Alcuni albanesi si stabilirono nei due feudi di Puglia , a Galatina che furono regalati dagli Aragoni nel 1485. Altri albanesi seguirono in Calabria Irini Kastriota , che sposò il principe Bisignano. Il numero di questa popolazione doveva essere considerevole , visto che si creò una comunità con una fisionomia linguistica , culturalmente tradizionalista , che esiste anche oggi. Gli albanesi cattolici provenienti da Nord Albania si adattarono rapidamente alla lingua, alla cultura e alla religione degli italiani, mentre albanesi provenienti da Sud dell'Albania , e gli arvaniti provenienti da Morea , che erano della religione ortodossa , nonostante le obiezioni e le imposizioni dei vescovi italiani, conservarono le peculiarità della loro cultura , dei loro costumi , la religione bizantino –ortodossa , che mantengono ancora oggi giorno.
Oggi in Italia sono 110.000 persone con la discendenza arbёresh che monta più di 52 comunità distinte, molte in Sicilia, nelle Marche in Italia centrale , e due-terzi sono nel nord e centro della Calabria.
Due di tanti altri elementi distinguono questo comunità dagli italiani:Lingua e Religioni. Più di 85% degli adulti della popolazione arbёresh parlano ovviamente la lingua albanese con colori dialettali, che come base ha il dialetto tosco che si parla nel Sud Albania e che somiglia molto alla lingua che parlano gli arvaniti della Grecia. Si nota la presenza delle parole greche , ma questo succede per via della lunga convivenza con i greci durante l’impero Bizantino. Un elemento forte della loro lingua con le radici in lingua albanese e la scrittura bilingue di molte vie. Più di 52 villaggi sono stati registrati e riconosciuti costituzionalmente dallo Stato Italiano come minoranze albanese bilingue.
Altro elemento distintivo della loro cultura è la religione, basta osservare il rito della loro Pasqua ortodossa , messo in atto in 1919 da Papa Benedetto XV, in qui la processione e celebrazione è uno spettacolo unico .
Altre manifestazioni della loro cultura sono : la musica-fisarmonica e le magiche dance etniche in costume , i loro vestiti di matrimonio che si tramandano da generazione in generazione , e altre particolari feste in costume locale. In molti villaggi principali di Calabria come Acquaformosa, Eiànina, Firmo , Santa Caterina Albanese , Santa Sofia d’ Epiro e specialmente San Demetrio Corona e Civita dove con le dance folcloristiche attraversano le strade nel Martedì dopo Pasqua , loro celebrano ancora oggi dopo 500 anni , la vittoria di Skanderbeg, eroe della libertà albanese contro gli ottomani turchi.
In molte canzoni arbёreshe troviamo molti toponimi come nel caso di More, come Koroni, Napflio, Coronicio ecc. Anche se il tempo è già passato , non ha potuto sradicare la particolarità della minoranza albanese che mantiene ancora la sua lingua, le sue tradizioni, la sua cultura , i suoi canti , le sue leggende e cosi diventano una ricchezza per il turismo in queste zone.
La domanda che ci viene spontaneamente è: se gli arbёresh debbano conservare la loro lingua antica oppure debbano integrarsi alla lingua albanese moderna ? Questa popolazione che fa parte della Comunità Europea, continua a rimanere in una regione più povera d’Italia e gli investimenti per proteggere questo tesoro laografico da parte dello Stato Italiano sono insignificanti. Chi deve difendere questa ricchezza inestimabile delle origini e delle radici albanesi di questa etnia?

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domenica 20 giugno 2010

Leggendo dott.ing. Domenico Nociti: Il mosaico magico della basilica paleocristiana illiro-albanese di “Mesapliku”


nocitidringdomenico.blogspot.com 
    




Ho due motivi per fare questo commento:
– primo, perché sono nata a pochi metri dalla Basilica di Mesaplik (che chiamavamo Qisha'pronunciando la Q “K”, Kisha in albanese di oggi, in italiano chiesa );
– secondo: perché ho lavorato due mesi con l'archeologo Damian Komata per scoprire il mosaico della basilica di Mesaplik.
Vorrei innanzitutto ringraziare Lei, dott. ing. Domenico Nociti, per il suo contributo ad una opera che mi sta a cuore, e vorrei sostenere la sua tesi, aggiungendo solo poche cose che riguardano il significato della scritta, e che si ritrovano uguali nella lingua di oggi.
Basandomi sempre sul modo in cui lei ha interpretato questo scritto, e cioè che a tutt'oggi la lettera Q spesso si pronuncia K (kisha -qisha, Hikmet -Hiqmet), la lettera Ç si pronuncia Q (keq-keç), o la parentela tra K e Q (biçak-biçeqe ), e che la pronuncia di una lettera dipende dalla posizione in cui si trova(mik-mik), scrivendo con le lettere latine , e mettendo la lettera latina "H" avanti a due lettere "A" isolate, questa scritta ha dei significati ben precisi che riportano alla parlata dialettale di oggi, come modi di dire di origine contadine.
Visto che la Basilica si trova in un posto ben preciso, la chiave di lettura della scritta penso abbia a che fare con l'uso della lingua del posto in cui è stato trovato il mosaico, senza togliere il merito a tutti quelli che hanno contribuito con la loro competenza a dare una verità a questa opera, a leggere questo codice.
Mio fratello Jahaj Idajet, che studia la lingua dialettale per professione e per passione, sta lavorando su questo tema. Visto che il nostro dialetto straordinariamente ricco di espressioni, sfumature che nessun dizionario al mondo può tradurre, lui dà la sua versione basandosi sulla lingua parlata che tuttora è conservata con fanatismo dalle generazioni, tanto che si è creata un'associazione con lo stesso nome, Mesaplik, per tenere viva la tradizione e soprattutto per coltivare la lingua dialettale che purtroppo con gli nuovi sviluppi sociali tende a scomparire.
In particolare le persone di questo paesino chiamato Shales, hanno una capacità unica di parlare espressivamente, in modo così naturale da rendere loro molto simpatici, e molto carismatici.
Sostenendo che nel nostro dialetto molte lettere sono pronunciate dagli anziani diversamente da come sono scritte, come Kisha si dice Qisha, Kiço si dice Qico, Çimi si dice Qimi o Kimi, in quanto Çimi è diminutivo di Shkelqimi, spinaq si dice spinaç, e tante altre parole e non solo su la Q , K e Ç, e perciò tutta questa irregolarità significa che non c'è stata una regola scritta per la grammatica.
Così noi sosteniamo la sua traduzione : HA PAK, KE AQ ( Mangia poco, hai tanto) che nel gergo è: Ha pak, ke plot, e nel nostro dialetto moderno è trasformato: Ha pak, te blesh biçak, che vuole dire: spendi poco, per avere la possibilità di comprare altre cose, come il coltello per esempio, che era un attrezzo indispensabile (senza questo non potevano ammazzare i animali per mangiare), intendendo il risparmio, o come si dice in italiano: i soldi li fa non chi ce li ha, ma chi non li spende.
La scritta verticale letta nella stessa maniera come è letto da dott.ing. Domenico Nociti: AP KA , HA KEQ (Vai bue, mangi male) è un idioma, ed ha un significato diverso dalla traduzione parola per parola nel nostro dialetto, è piena di espressione e nella nostra parlata significa : Vai bue, non stai tirando avanti (si parla per i buoi mesi a tirare l'aratro).
Visto dall'uso della parola, dalle frasi usate, studiando la lingua parlata l'uomo era in simbiosi con gli animali e la natura. Quasi tutte le espressioni attribuite all'uomo si paragonano con versi di animali: mangia come un bue, lavora come bue, forte come un bue, dorme in piedi come buoi etc.
Il bue, nel questo caso, era un elemento molto importante nella vita dei contadini, era simbolo di forza, un bene prezioso, tanto che nel gergo, riferendoci ad una cosa a cui teniamo tanto, si dice: E shikoj si varfri kan, che vuole dire: ci tengo come il povero tiene al bue.
Tornando alla  frase abbiamo: AP KA , diminutivo di (hapu ka), si dice al bue quando tira l'aratro per lavorare la terra, per farlo andare avanti e fargli tenere la giusta direzione. Da piccola mi sembrava tutta una parola. HA KEQ, o pret keq ,o heq keq, che hanno lo stesso significato (in italiano: non va avanti), un'espressione che esprime che il bue non va diritto e così non tira avanti l'aratro.
 HA KEQ, viene usato anche per la macchina, quando manca la convergenza, e tiene male la strada.
Visto che l'aratro era tirato da due buoi, ma era diretto anche dall'uomo, tutto questo quadro porta a fare paragoni fra l'uomo e il bue. Sempre nella lingua dialettale troviamo questa espressione utilizzata anche per riferirci ad una persona che non lavora : Kà që ha keq (bue che non va avanti) .
AP KA, HA KEQ (che vuole dire vai avanti, tira avanti il carro) è molto usata anche in italiano.
CONCLUSIONE: la scritta è dialettale, si tratta di un'espressione che presenta una filosofia di vita, la grandiosità delle parole del popolo,e leggendo come le parole incrociate, significa: UOMO, LAVORA BENE LA TERRA E GESTISCI BENE I TUOI BENI CHE TI HA DATO LA NATURA.
È vero che il pesce non era il cibo principale, però era diffuso, visto che si pescava nel fiume, e nelle pozze create nel fiume. Con il cambiamento del clima i due fiumi sono diventati dei ruscelli, ma anche 30 anni fa erano pieni di acqua e formavano tante pozze profonde in qui si pescava, questo si vede dalla lunghezza e dall'altezza dei ponti sui fiumi.
E le pere selvatiche in questa zona sono diffusissime.
Ed ecco la domanda: perché in questa chiesa non ci sono figure apostoliche o anche il simbolo della chiesa (la croce, intendendo quella della chiesa, non le crocetine trovate nel mosaico, visto che mosaico e fatto in un secondo tempo, nella chiesa fatta prima doveva essere una croce come simbolo ). Chi è questo uomo che è ritratto in questo mosaico?
Visto geograficamente il paese in cui viene trovata questa opera, è l'unico paese che non ha un centro storico, a differenza dei paesini intorno, gli abitanti di questo paese erano sparsi nelle montagne e isolati dalle altre comunità vicine da due fiumi torrentizi, spesso pericolosi. Da questo ha presso il nome: "MESAPIA", che scrivendo con le lettere latine e  mettendo la lettera H prima di A, viene "MES HAPJA", che vuole dire: terra aperta nel mezzo di due fiumi, che ha lo stesso significato con altro nome chiamato Shales, che vuole dire che gli due fiumi hanno la forma di due gambe. Ha lo stesso nome di Messapia in Puglia, popolata dagli  illiri o greci( mai accertata), che si parlava la lingua messapica con affinità con le lingue illiriche, e che l'alfabeto era un derivazione della lingua greca  .
Questo modo di spiegare e leggere il nome di Mesaplik( Mesapia) nel MES AP, è un elemento importante  per sostenere il modo di lettura verticale, fato da dot.ing Domenico Nociti, in quanto AP é comune con la scrita trovata nel mosaico.
 Per portare le notizie (di matrimoni, di nascita o di morte) dovevano mandare un membro della famiglia, che viaggiava a cavallo, di porta in porta. Certamente mancava la società, e c'era bisogno e necessità di socializzare.Referendo anche l'arceologo Damian Komata che dice che questa chiesa è una chiesa di tipo semplice, si pensa, è stato deciso di fare questa Basilica per unire questa comunità, e spingere questa comunità a praticare la religione e di essere anche un punto di ritrovo di questa popolazione sparsa.
Il punto in cui è stata ritrovata la Basilica era un punto cruciale dove confluivano tutte le strade che portavano alle abitazioni, lontane anche 5 km o più l'una dall'altra.
Un'altra cosa importante che voglio sottolineare è questa: ancora oggi (che la religione in ALBANIA purtroppo è un mercato libero) questa zona non ha una cultura religiosa propria, proprio per la sua posizione naturalmente difficile, e perché è un popolo particolarmente conservatore, legato alle sue tradizione e ai suoi principi, di qualsiasi tipo essi siano, è un popolo che non viene influenzato facilmente da qualsiasi evento religioso o politico, visto che anche la Turchia ha lasciato pochi fondamenti religiosi in questa zona in confronto al altre zone di Albania. Si può immaginare 14 secoli fa, quando persino l'informazione religiosa faceva fatica ad arrivare fino a lì.
Della lingua parlata dai miei genitori nella mia memoria non si è conservato niente altro che la parola Qisha (chiesa), e ciò sta ad indicare che questa comunità ricercava qualcosa che potesse materializzare il loro desiderio di avvicinarsi ad una forma religiosa, ma non aveva nessun esperienza in questo campo.
Le persone credono ancora oggi che esista qualcosa al di là delle capacita umane, qualcosa di inspiegabile . Sia oggi, sia in passato, le persone identificavano come un forza soprannaturale il Sole. Le persone, compresa mia madre, pregavano volgendosi verso il sole della mattina, considerando il Sole come un testimone di tutta l'attività umana. E come posto per pregare utilizzavano un'area sopra una collina battuta dai primi raggi di sole che si chiama anche oggi VEND I MIRE, che in italiano significa “Posto di Dio”.
Chiedendo a mia madre perché le persone scegliessero questi posti, che cosa avessero di tanto particolare, lei mi rispondeva: “Perché il Dio appare lì, non si vede, devi solamente sentirlo dentro di te”. Ed io, che non ho mai creduto a questo, da grande, studiando questi posti ho notato che là il sole della mattina ha un splendore particolare (che ritrovo anche qui in Toscana ).
Per loro questo era il contatto con religione .
Questa la loro preghiera (anche questa tramandata da mia madre): “Sole che cammini sopra di noi, ci proteggi (O diell qe vete lodhur, na mburofsh)”.
E questo il giuramento sacro: “Giuro sul Sole che cammina sopra di noi (Per atë diell qe vete lodhur)”.
Se fosse stata una preghiera, un Cristo con nome diverso, il nome di un Santo o qualsiasi cosa simile, sicuramente sarebbe riportato nel linguaggio, se non esattamente qualcosa simile che poteva ricordare un'epoca perduta, visto che è una comunità conservatrice, orgogliosa di tutti i suoi riti, folclori, canti, e tradizioni. Anche nelle comunità Arbëresh d'Italia, in cui la religione è stata uno degli aspetti più “conservatori”, la messa viene celebrata un po' in greco, un po' in arbëresh, un po' in italiano, e ciò significa che la religione non è mai stata una prerogativa albanese, tanto meno nel paese che abbiamo preso in esame.
Dal momento che si tratta di montanari, l'unica filosofia che conoscevano era quella popolare, i detti popolari, era una comunità che non aveva una tradizione scritta, figurarsi un'istruzione religiosa.
La filosofia del popolo, era questa la loro religione.
Dalla mia esperienza di viaggiatrice con la passione della lettura, e osservando i colori usati, secondo me l'uomo del mosaico non appartiene alla chiesa, è il ritratto di una persona comune.
Visto che le immagini di questo mosaico sono in dimensione reale, l'uomo raffigurato è secondo me il popolo, l'oratore che parla nel nome del popolo, il sindaco dei giorni di oggi.
Non era certo un murg (frate eremita) perché, come si sa, il frate eremita non parla, non comunica con nessuno, con lo sguardo basso, e per questo è rimasto il detto: “Nxin si murg”, attribuito a una persona che non socializza (in italiano: non parla, sta come un eremita).
Invece l'uomo del mosaico, con determinati tratti somatici, con gli zigomi molto pronunciati, fronte alta, sguardo forte sono elementi tipici della personalità degli uomini di questa zona. Anche il cappello che porta è tipico di questa zona, di lana, e mi ricordo che molti uomini sotto a questo cappello mettevano un fazzoletto legato dietro la nuca, per assorbire il sudore.
Sicuramente non ha a che fare con i calendari basati sulla direzione del vento, visto che in questa zona ci sono delle persone che seguono il calendario dei venti in Agosto, seguendo la direzione del fumo di sigaretta, come tante altre credenze, ma certamente un uomo che parla non può avere questo funzione.
Ancora oggi il luogo dove è stato trovato il Mosaico si chiama “Bregu i Qishes” (in italiano: Colina della Chiesa) e si trova in un posto in cui il sole della mattina, con i suoi raggi, crea un'atmosfera molto suggestiva, che da l'idea di essere in paradiso, un posto in cui ti viene voglia di stare seduto e meditare, allontanando tutti i pensieri negativi.Visto che il rito di preghiera delle persone é girando verso la nascita del sole, chiesa e fatto con direzione che guarda verso la nascita del sole, uomo di mosaico guarda verso nascita del sole, fanno pensare che ce un legame rituale in tutto questo.
Io e mio fratello non siamo competenti per spiegare questa scritta con simboli o numeri, non vogliamo assolutamente metterci in competizione con chi è veramente competente in materia, semplicemente vogliamo dare il nostro contributo, visto che conosciamo bene la lingua del nostro dialetto: secondo noi si tratta di una scritta nella lingua dialettale Albanese, però scritta in alfabeto greco antico.
Unendo i due elementi, il nome Qisha ( Basilica) e la scrittura, ci troviamo davanti ad una filosofia "religiosa" di vita, (infondo, anche il Kuran o la Bibbia sono delle filosofie di vita), di come queste persone l'hanno interpretata vivendo in contatto diretto con la natura, e vi assicurò che è la filosofia migliore che ho conosciuto. Sono le persone migliori che ho conosciuto in tutta la mia vita, dignitosi nella loro povertà , coraggiosi, che sanno essere felici con poco, di una intelligenza naturale, di una onestà rara che diventa legge non scritta, grandi lavoratori, carismatici, che non conoscano la depressione della società moderna, e che vivono in questo paesino molto povero scordato da Dio e dal Governo.
Ringrazio Lei, dott. ing. Domenico Nociti, per avermi spinto con il suo Blog, a rendere omaggio a queste bella gente in un contesto cosi importante, e a sentirmi orgogliosa di fare parte di questa comunità che è rimasta autentica.

martedì 15 giugno 2010

La mia biografia

Arrivederci fratello mare
mi porto un po' della tua ghiaia
mi porto un po' del tuo sale azzurro
un po' della tua infinità
e un pochino dell tuo luce
e della tua infelicità.
Ci hai saputo dir molte cose
sul tuo destino di mare
eccoci con un po'più di sperazza
eccoci con un po'più di saggezza
e ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare. (Nazim Hikmet)